…MIA NONNA LE CHIAMAVA “SVIZZERE”…

Posted: 22/12/2014 in Uncategorized

…ma non avevano alabarde e uniformi da clown daltonici, né cassette di sicurezza a Ginevra e tantomeno la neutralità diplomatica.

Erano semplicemente degli ammassi pseudocircolari di carne tritata (mia nonna – psicologicamente invalidata dalla guerra – comprava quella uno scalino sopra la “tritata per cani”) che venivano cotti in abbondantissimo burro, a temperature da fonderia finché il burro diventava nero e – alla faccia dei grassi saturi e compagnia bella – veniva versato a mo’ di squisita salsina su quelli che oggi tutti quanti chiamano hamburger (e che per la cronaca ad Amburgo non se li caga nessuno).

In principio era il Mac, anzi il BigMac, poi sono arrivate storie di mucche senza gambe allevate in fattorie idroponiche come gli uomini-Duracell di Matrix, di vitelli con quattordici filetti, di polli incistati nello scroto di bufali mutanti…oppure semplicemente qualcuno si è accorto che a parte le irresistibili salsine-droga non è che il rapporto qualità/prezzo dei fast food fosse così conveniente.

E allora, lasciando agli americani le guerre dei bottoni tra Burger King e McDonald’s su chi ce l’ha più grosso, in Italia stanno sorgendo i “templi dell’hamburger” che sventolano le parole magiche, diventate ormai un mantra dappertutto: “carne chianina DOP”, “proveniente da allevamenti certificati”, “manzo consapevole che ha accettato per iscritto con firma autografa di essere abbattuto per creare ottima carne tritata per hamburger d’autore”, “muscolo rosso (e qui i più scafati ricorderanno un evergreen di Cicciolina con lo stesso titolo) a chilometri zero”…in pratica fast food un po’ meno caciaroni dei più famosi, che alla fine però ti gabellano un BigMac “window dressed” come il non plus ultra dell’alimentazione da gourmet.

A Genova, scendi per una via del centro storico e trovi un bugigattolo dove ti offrono hamburger di chianina, abbelliti con tutta una serie di condimenti e contorni scaldati al momento. Senza pretese, senza sbandierare filosofie umanistiche neoprogressiste, senza “tirarsela da strani” insomma. Ah, a proposito, sono buoni di brutto e costano meno di un “Mc Menu” che in bundle offre qualcosa come 1.200 calorie in eccesso.

Nella via con la “V” maiuscola del centro storico ha da poco aperto un ristorante (si fa per dire) di una catena internazionale di hamburger. La buttano un po’ (tanto) sull’illuminazione trascendentale, sulla Santità del Pane (con hamburger) Quotidiano, sulla (aridaje) filosofia della carne fassona con nome e cognome della mucca, con in aggiunta uno spruzzo di tecnologia “ordina comodamente con i nostri iPad”. Ma non puoi prenotare i panini da casa o dall’ufficio. Alla faccia della connettività remota, devi entrare nel locale, attendere che un ipad (con la batteria carica, possibilmente) si renda disponibile (l’ultima volta 18 minuti cronometrati), e finalmente digitare il tuo ordine.

In alternativa, puoi rivolgerti a qualche obsoleto essere umano, che una volta si chiamava cameriere ma oggi è un “collaboratore dello staff” che non a caso indossa magliette con su scritto “ne so quanto l’ipad e in più sorrido”. Gli hamburger in lista sono 5 (nuovo numero cabalistico dopo i troppo sfruttati 3, 7 e 9…povero Fibonacci!), ma ecco la prima sorpresa: uno da un posto così ascetico si aspetterebbe un’offerta tipo “San Francesco: pane azzimo, sale grosso, carne; Siddharta Gautama: pane chapati, carne di mucca consapevole, polvere di curry”… e così via.

Invece, le combinazioni offerte sono talmente piene di salse, intingoli, condimenti e contorni che se al posto della “carne di fassona piemontese DOP di vitelli allevati in un idromassaggio” ti servissero una suola Vibram da trekking estremo il risultato organolettico sarebbe uguale. Tra funghi porcini, cipollotti (di Tropea DOP ça va sans dire) caramellati al porto, salsa segreta #1, sautée di peperoni, pesto (orrido orror d’un orridezza orrenda!) eccetera, diciamo che la santità dell’hamburger viene resa un po’ troppo peccaminosa.

Dopo 18 minuti per ottenere l’ipad e altri 20 perché ci venga servito l’hamburger, la dimensione del panino “studiato da un artigiano panificatore pugliese e realizzato fresco ogni giorno a Milano (probabilmente con farine setacciate a mano e lieviti madre rispettosi del territorio)” assomiglia troppo a quella di un cupcake per non farci indignare. Quattro-morsi-quattro (è disponibile su richiesta un contributo video) e il Sacro Hamburger è storia passata. Le cipolle caramellate, invece, durano come la guerra israelo-palestinese.

Concludendo, non fosse altro che per quello che ho scritto qui sopra, viva la Svizzera forever. Bella madida di burro nero. Nero come il peccato. Del resto, la strada per l’inferno è lastricata di hamburger santi.

Guten Appetit.

 

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